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test manuale della frequenza cardiaca

Test di rilevazione manuale della frequenza cardiaca

Il test che segue può tornare utile come semplice parametro di riferimento per atleti che praticano abbastanza regolarmente la corsa continua come mezzo di allenamento a qualsiasi disciplina sportiva.

Può essere rivolto quindi a podisti che si cimentano su medie e lunghe distanze, ma anche a triatleti, calciatori e praticanti di sport di resistenza in genere. Gli ingredienti sono un semplice cronometro e la voglia di cimentarsi in un allenamento di media intensità di una durata compresa fra 25 e 45’ circa.

E’ anche necessario saper rilvare manualmente la frequenza cardiaca quasi subito dopo la fine della corsa. Questa è facilmente rilevabile con le dita appoggiate nella zona della carotide.

Nei primissimi secondi la misurazione è soggetta ad errori un po’ grossolani ed è per questo che il test verrà effettuato cominciando il conteggio dal 10° secondo dopo la fine della corsa.

Ma andiamo con ordine.

Come deve essere l’allenamento da testare?

Deve essere un allenamento di media intensità su un percorso misurato o comunque ripetibile e deve essere condotto a ritmo uniforme o in leggera progressione. Comunque gli ultimi minuti della corsa non devono essere sensibilmente più veloci del ritmo medio del resto della corsa. La durata di questa corsa può essere compresa fra 25’ (per chi è abituato a correre di meno) e 45’ circa (per chi è abituato a correre di più)

Il momento del test

Il momento vero e proprio del test scatta alla fine dell’allenamento e richiede due minuti di pazienza all’atleta. Si guarda il secondo esatto della fine della corsa. Si porta la mano alla carotide per il conteggio dei battiti e si inizia a contare dal 10° secondo dalla fine della corsa. Si conta per un minuto. Alla fine di quel minuto si memorizza il numero e si riprende subito a contare da zero per un altro minuto. Ricapitolando si conta dal 10° al 70° secondo. Si fissa nella memoria questo numero poi si conta dal 70° al 130° secondo (il secondo minuto) e si memorizza anche questo dato.

Questi due dati ottenuti sono quelli da elaborare per valutare il test. Il primo test darà poche indicazioni ma i successivi inizieranno a dare indicazioni importanti per l’atleta.

Valutazione dei dati del Test

I due dati così ottenuti daranno subito delle indicazioni di carattere assoluto:

  1. Il valore assoluto del primo minuto dopo la corsa
  2. Il valore assoluto del secondo minuto dopo la corsa
  3. Il “differenziale fre i valori “1” e “2” che è il dato più significativo che andremo poi a trattare confrontandolo con altri test.

Al momento ci basta aggiungere che il test andrà ripetuto dopo circa 15 giorni o un mese a seconda dell’assiduità nella pratica della corsa di resistenza (diciamo almeno ogni sei sedute di corsa di rsistenza) e che andrà ripetuto nello stesso modo. Pertanto dovrà essere lo stesso percorso e soprattutto corso alla stessa velocità della volta precedente. Anche se l’atleta si sentisse in grado di correre più velocemente il giorno del test dovrà correre nel modo più simile possibile a quello dell’ultimo test. Se nel frattempo l’atleta fosse decisamente migliorato di forma si tratterà di “ritarare” in una fase successiva l’intensità del test per renderlo più significativo.

Una successiva valutazione dei dati confrontando i test successivi è argomento del prossimo articolo. Buon test.

Applicazioni del test di rilevazione manuale della frequenza cardiaca

Diciamo subito che il test, pur presentando delle correlazioni dirette piuttosto significative con una possibile prestazione massimale sulla gara dei 10.000 metri, ha scarse possibilità di essere predittivo con sufficiente precisione sul risultato cronometrico della gara.

Il test misura essenzialmente gli adattamenti della frequenza cardiaca che si verificano nel normale processo di allenamento e con particolare riguardo ad impegni di tipo sub massimale. Una gara di 10.000 metri rappresenta un impegno di tipo massimale e pertanto si discosta nello specifico dal test in questione. Inoltre gli adattamenti cardiocircolatori sono solo una delle componenti che vanno ad influenzare il risultato cronometrico della gara.

Con riferimento ad impegni di media intensità, pertanto, si può dire che le informazioni che possiamo avere dal test sono di tre tipi:

  1. sul valore assoluto del primo minuto di rilevazione (10°-70° secondo);
  2. sul valore assoluto del secondo minuto di rilevazione (70°-130° secondo) e sulla differenza fra i due valori rilevati.

Quando gli adattamenti prodotti dall’allenamento sono piuttosto significativi variano tutti e tre questi parametri. In particolare i due valori assoluti, a parità di velocità di corsa di esecuzione del test, diminuiscono mentre il “differenziale” fra i due valori tende a salire (in percentuale). Ciò vuol dire che la differenza tra la frequenza cardiaca nel secondo minuto rispetto a quella del primo tende ad essere superiore man mano che si procede con l’allenamento.

Quando gli adattamenti prodotti dall’allenamento diventano di portata inferiore i valori ottenuti da test successivi cominciano a stabilizzarsi presentando scarti sempre minori fra una esecuzione e l’altra. In particolare si può arrivare ad ottenere dati non univoci nel segnalare il miglioramento. Per esempio è migliorato solo il valore del primo minuto, oppure solo quello del secondo, oppure, pur migliorando di poco entrambi i valori c’è stata una stabilizzazione del valore del differenziale che è già un primo indice di rallentamento della velocità dei progressi.

A grandi linee se è diminuito solo il valore relativo al primo minuto si può dire che è migliorata la capacità di correre a quell’andatura, riuscendo a svilupparla a frequenze cardiache inferiori. Non altrettanto si può dire del recupero, però se parimenti non è regredito anche il valore del secondo minuto. Se al contrario, pur rilevando uguali valori di frequuenza cardiaca nel primo minuto di conteggio si otterrà un valore più basso nel secondo minuto vuol dire che è migliorata la capacità organica di recupero. Teoricamente se un miglioramento del primo dato può essere associato anche ad un miglioramento della tecnica di corsa, un miglioramento riferito solo al secondo dato può farci presupporre ad un’evoluzione delle capacità organiche più che di quelle tecniche.

Quando miglioramenti successivi portano a valori degli ultimi test che si discostano notevolmente dai valori ottenuti nei primi test è giunto il momento di rivedere la velocità di esecuzione. A questo punto si presenteranno nuove situazioni di diversa interpretazione legate alla variabile più importante dell’esecuzione del test: l’intensità di corsa. Cosa succede quando ci si evolve verso intensità superiori è argomento del prossimo articolo.

Quando è il momento di ritarare il test manuale di rilevazione manuale della frequenza cardiaca?

Dopo alcune volte che è stato eseguito il test, se la preparazione è stata condotta con un certo criterio ed ha portato ad un miglioramento della forma sportiva, ci si trova nella condizione di dover ritarare il test su altre andature per mantenerlo significativo e statisticamente interessante.

Facciamo un esempio: se un atleta ad inizio preparazione correva mezz’ora all’andatura di 12 km/h (5’00” x km) ed eseguiva il test senza grosso disagio su quell’andatura, probabilmente dopo alcuni mesi sarà in grado di correre la mezz’ora con lo stesso tipo di impegno ai 12,5 Km/h o ai 13 Km/h a seconda delle sue capacità di adattamento. A quel punto andare a testare continuamente la frequenza cardiaca sui 12 km/h non ha più molto significato in quanto rileva il comportamento del cuore su andature non più conformi ai criteri del test.

Facciamo un passo indietro sulla giusta intensità di corsa da scegliere per provare il test. Questa è definita “media”. Per intendersi media, una intensità di corsa protratta per una durata fra i 25 ed i 45’ quale è quella proposta nel test deve discostarsi sensibilmente sia dalla corsa in perfetto equilibrio che da quella alla massima intensità. 

Chiariamo un attimo questi due estremi per collocare meglio, idealmente, il concetto di “media intensità”. La corsa in perfetto equilibrio è quella che più di altri ha definito il celebre Van Aaken, chiamandola velocità di “steady state”. E’ una velocità alla quale si può anche parlare tranquillamente finchè si corre e un atleta ben allenato la può sostenere per molti, molti chilometri senza accusare grande fatica. 

Al contrario la corsa molto intensa, riferita ad un impegno della durata del test può essere quella che un atleta adotta in una gara di 5-10 km circa. Il test non va assolutamente condotto ad andatura di gara e pertanto tale velocità non ha nulla a che spartire con quella del test. Per dare dei numeri (che non è mai una bella cosa per un tecnico, ma a volte aiutano a risparmiare parole), diciamo che se un atleta corre la gara sui 10 km in 40’ (4’00” x km = 15 km/h) e quindi riesce a correre parlando tranquillamente attorno ai 5’ x km (12 km/h) la sua andatura “media” potrà essere situata fra i 4’20” ed i 4’40” x chilometro, cioè fra i 14 ed i 13 chilometri all’ora.

A quell’andatura, l’atleta in questione non riesce a parlare molto agevolmente, ma è perfettamente padrone della corsa e se dovesse protrarla per un po’ più del previsto non avrebbe problemi di sorta. In breve, riesce a gestire agevolmente un test che gli consentirà di proseguire successivamente (anche il giorno dopo se si allena tutti i giorni) la sua normale preparazione senza accusare stati particolari di affaticamento.

A questo punto è chiaro che se un atleta che valeva 40’ come prestazione massimale sui 10km e svolgeva il test per esempio ai 13,5 km/h, nel momento in cui il suo ipotetico risultato di gara è sceso a circa 38’ sui 10 km non avrà più interesse a testare quanto avviene, a livello cardiaco, ad una andatura troppo distante dalla sua massimale e quindi dovrà mettersi a correre il test, per esempio, ai 14,5 km/ora per raccogliere dati significativi.

Ciò non toglie che man mano che si raccolgono i dati dei test questi si possano prestare anche ad altre considerazioni, come vedremo nel prossimo articolo.

Altra Valutazione dei dati del test: principianti ed atleti evoluti

Un principiante ed un atleta evoluto faranno bene a valutare i dati ottenuti dal test in modo diverso.

Occorre premettere quale sia il diverso modo di reagire agli stimoli allenanti nei due soggetti. Generalmente il principiante non utilizza quasi mai stimoli allenanti troppo bassi. La maggior parte delle sue sedute di allenamento, pur se condotte a bassa intensità, riescono comunque a stimolare l’organismo in modo più che sufficiente per produrre nuovi adattamenti. E’ per questo che la prudenza e la gradualità nell’aumento dei carichi vengono sempre raccomandate a chi pratica da poco la corsa di resistenza. 

Al contrario l’atleta evoluto conduce le sue sedute di allenamento, spesso anche ad intensità piuttosto elevata, con il solo intento di “mantenere” una condizione organica molto buona. Sembra un paradosso perché abbiamo sempre pensato in termini di attività di “mantenimento” con riferimento al principiante e attività di “miglioramento” della condizione organica con riferimento all’atleta evoluto. Se riflettiamo un po’, in realtà, il buon senso suggerisce che accade esattamente il contrario. Proprio perché è un principiante, chi comincia a svolgere i primi allenamenti offre al suo organismo stimoli che continuano a richiedere nuovi adattamenti. 

Ciò non può accadere anche all’atleta evoluto. Per definizione, l’atleta evoluto è già molto adattato e pertanto per creare stress significativi al suo organismo ha bisogno di svolgere allenamenti molto intensi.

E’ utopistico pensare che ogni allenamento dell’atleta evoluto crei nuovi adattamenti. Le sedute che creano nuovi adattamenti saranno un ristretto numero inserite in un contesto piuttosto fitto di sedute cosiddette di “mantenimento” della condizione. Inoltre, proprio perché di livello superiore, la condizione dell’atleta evoluto scade più velocemente di quella del principiante.

Detto questo, diamo altri “numeri” esemplificativi di due modi diversi di affrontare il test:

  • Un principiante potrà ottenere valori al test tipo 130-110. Sembrano valori poco elevati. E lo sono, soprattutto considerando che il principiante in genere parte da valori di frequenza cardiaca a riposo superiori a quelli normalmente riscontrabili nell’atleta evoluto. 130 su 110 vuol dire che si è corso ad un frequenza cardiaca massima probabilmente non superiore ai 150 battiti al minuto, inoltre vuol dire che già dopo un minuto la frequenza cardiaca stava scendendo in modo significativo perché 20 battiti di differenza fra il primo minuto ed il secondo non sono pochi. Si potrebbe quasi pensare che tali valori non siano indicativi di un allenamento che ha prodotto qualche adattamento. Invece, parlando di principianti, possiamo praticamente essere sicuri che anche a queste frequenze cardiache relativamente basse l’allenamento avrà prodotto i suoi effetti benefici.
  • Un atleta evoluto può ottenere valori al test tipo 165-150. Sono valori elevati. Inoltre la differenza di soli 15 battiti fra il primo minuto ed il secondo (pari al 9%) può far pensare a qualche difficoltà nel recupero. Probabilmente chi ha simili dati nel test ha corso a frequenze cardiache vicine ai 180 battiti al minuto. Ciò potrebbe far supporre intensità troppo elevate. Ma se stiamo valutando atleti evoluti dobbiamo considerare che questi tollerano molto meglio il “fuorigiri” ed inoltre riescono a stimolare l’organismo a nuovi adattamenti solo perseguendo notevoli intensità di corsa. Pertanto un test simile, che segna una situazione pericolosa e non opportuna per un principiante può indicare una situazione di normalità per un atleta molto allenato.

Al di la dei numeri, che vanno considerati a titolo esemplificativo e non in valore assoluto, ognuno deve saper valutare in base al suo livello di qualificazione sportiva a che livello di intensità sia opportuno eseguire il test, tenendo presente che se l’obiettivo è semplicemente di migliorare la condizione organica di base partendo da livelli piuttosto bassi qualsiasi intensità di corsa sarà quasi sicuramente idonea a produrre benefici, se invece l’obiettivo è migliorare i risultati agonistici partendo già da una condizione di livello superiore esisterà un “range” piuttosto ristretto di intensità (e purtroppo anche abbastanza vicino al…”fuorigiri”) che tornerà utile per fornire nuovi stimoli adattivi.

Pertanto il compito di selezionare la giusta andatura è un po’ più arduo per chi corre da molto tempo. Questi, conoscendosi meglio, ha più possibilità per valutare con precisione l’intensità corretta. D’altro canto deve muoversi nello stretto corridoio delimitato, da un lato dal rischio di correre troppo forte, stressando troppo l’organismo, dall’altro dal rischio di correre ad intensità troppo “consuete” che non hanno possibilità di produrre nuovi adattamenti. 

Buona corsa a tutti!!!